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Articolo critico del Dott. Franco Bulfarini
L’amore per le montagne, l’amore per la natura è amore per la vita
La pittura dell'artista Fabio Filippini imita da subito la realtà,
per poi travalicarla con una visione del tutto personale. La tecnica
preferita è quella della pittura su tela. Negli ultimi anni conosce
gli artisti Gerico, Siccardi ed Edi Brancolini.
L’ultima ricerca,
quella recente sul colore è ispirata dal vedutismo misterico di
Raffaello Ossola che tuttavia è tradotto e rapportato in modo del
tutto autentico e personale con la sua visione naturalista.
Ultimamente ha iniziato una serie di lavori che traggono diretta
ispirazione dai versi della Divina Commedia di Dante Alighieri.
Particolarmente interessante una delle ultime opere “La tradizione nel
futuro” dove per la prima volta ha inserito la figura nell’immagine
di paesaggio, con esiti strabilianti.
Al suo attivo diverse personali, collettive e premi di pittura in
particolare con l’opera “Confini” ha partecipato con successo ad un
recente concorso d’arte a Bolzano.
Fra i suoi commentatori il noto critico ed artista Prof. Azeglio
Bertoni ed il Prof. Arnaldo Maravelli, che ne hanno riconosciuto
pienamente le doti umane ed artistiche.
Filippini mette a nudo la roccia svelandola nel suo nitore, la depura
da cespugli, od altri frammenti e elementi arborei, quasi a volerne
sezionare l’essenza, per svelarne ogni piega, anfratto, pertugio o
minima particella, rendendola più che vera, vivente, quasi da
sembrare pelle umana raggrinzita dal tempo che incede inappellabile,
suscitando in ciò un forte pronunciamento emozionale.
Ne
scaturiscono visioni che aprono al sentimento di una veduta
naturalistica certamente introspettiva, approdano evidenti in
superficie sentimenti ed effusioni neoromantiche, imprigionate
nell’onda impetuosa di versi poetici che prendono vita nei rarefatti
istanti trascorsi ad alta quota.
Le sue vette sono scandite d’immensa poesia che coglie stati d’animo,
parole mai dette o sottaciute, effusioni e rivolgimenti
introspettivi, ma anche momenti estatici, pregni d’immenso
ribollente piacere visivo.
Pennellate forti, pastose, eppure soffici e velate, quasi a voler
rendere visibile l’invisibile, cercando di far apparire substrati
profondi dell’immagine, che solo l’occhio più attento può scorgere,
svelando una diversa visione sotto l’apparire di superficie. Pittura
dunque stesa con accuratezza, quasi maniacale, modellata, come
potrebbe fare un sarto su un manichino metafisicamente statico.
Pennellate dolci, rese idonee a seguire i percorsi impetuosi
dell’animo, che nel confronto con la pace della natura ritrova in se
una pace interiore ove svuotarsi di malesseri, inquietudini,
contrasti mai pienamente sopiti.
L’artista Filippini ci presenta una
proposta originale ed al contempo una ricerca che rende incessante
il dialogo con la natura, legato ad percorso di vita, dove il
contatto con l’armonia delle amate vette alpine, si tramuta in un
approdo visivo, ben oltre l’iconografico, che sa di umano, e diviene
stucchevolmente piacevole per il cagionato incanto dei mille
capricci visivi, che assumono intenso spessore vitale e danno fiato
al soffio incessante del sentimento puro.
Ogni opera appare tappa, percorso, episodio da segnare nel taccuino
personale dei ricordi o delle emozioni che derivano dai luoghi, ma
soprattutto dagli stati d’animo che sono emolumento di fresche
visione naturalistiche.
Filippini segue con la sua pittura un percorso interiore di crescita,
ove gli appunti presi in ogni scalata assumono connotato di
episodio, che deve asservire ad un disegno più alto e significativo,
che diviene arricchimento, afflato verso la libertà di un ribollente
animo, da affrancare dalle durezze della vita e dalla morsa della
condizione umana.
Nelle rocce Filippini, ritrova il fiume sotterraneo dell’umanità, ove
l’iconografia naturalistica non è vera emergenza ma pretesto,
assumendo chiara priorità il momento catartico rivolto al recupero
dell’essenza profonda di quella che è o potrebbe essere la giusta
dimensione del vivere.
Se questo fino ad ora descritto è il Filippini che potremmo definire
del periodo intimista, introspettivo e poetico, oggi con gli ultimi
lavori, l’artista ritiene di dover aprire un nuovo capitolo, la sua
nuova condizione, quello del dialogo con nuove tinte.
Fondamentale
per quest’ultimo pronunciamento cromatico ritengo sia stato
l’incontro con importanti artisti contemporanei, quali Raffaello
Ossola e Giuseppe Siccardi, dal primo coglie l’attenta ricerca
cromatica, dal secondo il valore prospettico e la profonda
visionarietà metafisica, ma qualche riferimento o richiamo mi pare
vi sia anche per il
grande artista spagnolo Salvador Dalì, che il
nostro Fabio annovera da sempre fra gli artisti di sua preferenza.
Contaminazioni importanti che hanno fatto breccia sul Filippini
odierno, favorendogli quel processo di svolta artistica che da tempo
ricercava. Questi incontri, con altrui modi di vedere, ne hanno
acceso la fiammella dell’ispirazione, che prima avvinta su toni
quasi Morandiani, ora si connota per essere felice scoperta del
colore. Una svolta artistica non priva di rischi, ma che egli
percorrendo con assoluta convinzione e sicurezza, quasi le sue
montagne si fossero impossessate da un lato del senso di mistero e
di equilibrata tensione e dall’altro della forza di vedute a volo
d’uccello che meglio rendono tutta la forza della natura; di
converso emerge il carattere stesso dell’artista che insegue una
maturità già prossima dall’esser pienamente conquistata.
Il tocco morbido, chiaroscurale e certamente intimista di cui Fabio
Filippini è eccellente interprete ed estensore negli ultimi
pronunciamenti pittorici, si rafforza della melodia del colore.
Egli si confronta sempre con le montagne perché in esse ritrova
l’essenza stessa della vita, la pace dell’animo, ma oggi lo fa con
una gamma cromatica rinnovata ed immensamente estesa. Nelle scalate
in alta quota cui spesso si avventura, l’artista ritrova se stesso.
Un’amante della montagna che nel descriverla, per svelarne i
segreti, gli angoli più remoti ed angusti, vi proietta la forza di
una visione interiore preponderante ed evidente. Rocce e vette che
assumono forme e contorcimenti tali da renderle al pari di esseri
viventi, contenitori dell’animo, in cui l’artista può trovare
nell’abbraccio della natura, vissuta e descritta, quella libertà che
spesso nel nostro quotidiano viene tragicamente negata.
Cenni biografici
Fabio Filippini nasce a Torriccella di Monteggiana (MN) il
12-09-1949, frequenta l’Istituto Arti e Mestieri di Suzzara. Si
avvicina alla pittura negli anni ’70, quando trasferendosi a Suzzara
conosce alcuni rilevanti pittori: A. Calderoni e L. Polacchini. Egli
è pittore autodidatta, i primi lavori naturalistici lo vedono
interprete di vedute del fiume Po. Nel 1997/98 scopre la passione
per le montagne iniziando un percorso come scalatore e da subito ne
è affascinato, sentendo il bisogno di schizzare su un taccuino le
scene che gli provocano maggiori suggestioni per poi rielaborarle in
studio in altrettante opere di pittura. Oltre alle montagne non
mancano vedute cittadine o di paese di tono realista pur in una
limitata e ben collaudata gamma cromatica.