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 MarcoAntonio Didu  artista pittore                                                                                             Bologna   Visita il sito dell'artista Marco Antonio Didu  Scrivi all'artista Marco Antonio Didu

 

 

 

Un mondo non basta

 

 

 

Marco Antonio Didu
Biografia e opere

Autoritratto - Marco Antonio Didu

Concorso pittura by PITTart.com Artista vincitore
Concorso
PITTart.com

Marco Antonio Didu è un artista autodidatta, ma non troppo, nel senso che non ha mai fatto scuole artistiche, ma le riproduzioni delle copie dei maestri del rinascimento, hanno rappresentato per il pittore una vera scuola.

 

 

 

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Quel che resta di Don Chisciotte
Quel che resta di Don Chisciotte


San Michele bambino assalto
San Michele bambino assalto 105x160

Cavalcata
Cavalcata

 

 

Un mondo non basta 120x180 - Olio e acrilico su tela                                                                                                                 

Cenni Biografici

Parlando della sua arte Marco Antonio Didu dice: "Per me l'astratto e il figurativo sono due gambe dello stesso corpo. Il mistero dell’arte mi ha sempre affascinato. L'arte è come il mistero della vita, della morte, anzi è forse un mezzo per spiegarli e in un certo senso è come una religione. Ritengo che l'arte sia allo stesso tempo un mistero e un tentativo di dare un senso, una fusione di celeste e terreno, di sacro e profano, di maschile e femminile, di soggettivo e oggettivo, di pesante e leggero, di concavo e convesso, di pieno e vuoto, di tutto e niente. Pur essendo un concetto volatile, astratto e lontano, l'arte richiede un atteggiamento concreto e terreno di ricerca assidua, abnegazione quotidiana, studio approfondito di tutti coloro che ti hanno preceduto in questa strada che ti porta a rompere il tuo muro del suono, cioè la scorza che separa ognuno di noi dal trascendente, nel quale l'arte è compresa. È questo un fatto soggettivo e oggettivo, ancora una volta una fusione di opposti che ti trasporta in un’altra dimensione, quella artistica. San Michele bambino - benedizione - 105x160Lacerare questa scorza è una lotta che ogni artista o potenziale tale deve riuscire a portare a termine, è la prima vera opera d’arte. Le difficoltà sono enormi, il percorso è lungo, arduo, può capitare di sentire il carico troppo pesante, la via troppo in salita, le energie mancare. Si affaccia allora il nemico peggiore, che ti spinge a rimandare, a pensare ad altro, magari a qualcosa di meno impegnativo e introspettivo, è la pigrizia, l’indolenza. Debolezze che in passato non mi hanno fatto prendere troppo sul serio certe modeste doti, per scegliere altre strade, più concrete, ma dall’orizzonte ristretto. Fortunatamente l’indolenza non ha vinto sempre e così ho fatto buone letture e visite a mostre e musei. Dunque ho continuato a riempire l'anima e l’intelletto di concetti, figure, linee e colori, fino a quando è stato naturale cercare la concreta pratica artistica, riducendo l’indolenza a null’altro che un peccato di gioventù. All’inizio è stato un percorso lineare e tortuoso allo stesso tempo, soprattutto direi solitario, nel senso che mai nessuno mi ha insegnato cos’è un punto di fuga, come si disegna un nudo o come si mischiano e si giustappongono i colori (credo che questo, in qualche quadro degli inizi, si noti). Dunque sono un autodidatta, ma allo stesso tempo no, e anche qui mi ritrovo in quella contraddizione tipica di ogni cosa artistica, quasi a voler rispecchiare in piccolo gli universali temi dell’arte, sempre grandi, trascendenti. Proprio in quanto tali, questi temi non possono non avere zone chiare e scure, zone in luce e altre in ombra, non possono alla fine non essere contraddittori. Più o meno verso i vent’anni, sfogliando un libro d’arte mi imbattei in un disegno di David, una donna piangente che si asciuga il volto con la veste, così facendo coprendosi il volto. Ero affascinato dalle pieghe di quei vestiti, dalla sicurezza di quei tratti, allora prendo il vecchio album di applicazioni tecniche delle medie, con ancora qualche foglio lindo, e a matita cerco di riprodurre quelle affascinanti linee, ma l’entusiasmo è tale che buco il foglio. Dopo aver comprato dei fogli da disegno un po’ più spessi riprovo ad interpretare i morbidi panneggi, l’atteggiamento sofferente della donna. Sento un trasporto strano, indescrivibile, una rivelazione, quasi come se i maestri del passato volessero in qualche modo cercare di comunicarmi qualcosa, o almeno così pensavo, un po’ da megalomane. Poi continuai a sfogliare quel libro, ansioso di imbattermi in qualche altro disegno che potesse dominarmi col suo fascino, e lo trovai in Durer, il ritratto della madre. Anche quei tratti mi rapirono, e religiosamente li riprodussi. Vennero poi altri disegni, di artisti più o meno famosi, di epoche più o meno lontane, anche contemporanei, che riproducevo senza sceglierli razionalmente, senza un ordine logico, stilistico o temporale. La cosa importante era il tratto particolare, una piega interessante delle vesti, piuttosto che un espressione generale del viso, o la linea del naso. Mi interessava soprattutto la ritrattistica. Fu un periodo fecondo, il mio scopo era di fare un disegno al giorno. Passavo da Velazquez a Kokoshka, da Van Gogh e Fra Galgario, da Goya a Schlemmer, dai Carracci a Modigliani, e poi Goltzius, Holbein, Matisse. È stato solo in un secondo tempo, e dopo un lungo riflettere, che ho iniziato a dipingere, sempre riproducendo opere dei maestri, Tiziano, Mantegna, Giotto, Michelangelo, per poi tentare con quelli dallo stile un po’ più difficile, Leonardo, Vermeer, Caravaggio. Il passo successivo è stata la riproduzione in pittura di alcune statue e bassorilievi famosi, è stato il periodo della Pietà dipinta, del bacco dipinto, di un quadro di donna con bambini ispirato alla Madonna della scala. Senza rendermene conto ripercorrevo passo passo il percorso degli apprendisti nelle botteghe d’arte del passato. C'è stato un periodo in cui sentivo l'esigenza di dipingere in astratto. Praticamente, al termine di ogni quadro figurativo l'attenzione si spostava su delle linee inconsuete, difficili da interpretare a primo acchito. Più precisamente era come se volessi usare questi due modi di espressione, uno più direttamente riconoscibile e l'altro più nascosto, come fossero due gambe di uno stesso corpo che si muovono in sincronia e sinergia per permettere il cammino. L’ultima fase dell’apprendistato, se così si può chiamare, è stata quella di portare in pittura disegni che i maestri non avevano mai dipinto, come il cartone di S. Anna di Leonardo. Lì è successo qualcosa. Mentre lo dipingevo ho sentito l’esigenza di staccarmi da quel tipo di riproduzione che cominciava a diventare pedissequa, di aggiungere qualcosa di mio. Fu così che un ormai stanco tentativo di copia divenne “un mondo non basta", capostipite della serie di quadri "actung, achtung, Gott ist mit uns!”, un quadro che sentivo pienamente appartenermi. Non che prima non ne avessi dipinto di quadri basati su idee esclusivamente personali, ma non mi avevano soddisfatto del tutto, mancava qualcosa. Mi sentivo per la prima volta come un uccellino finalmente volato fuori dal nido. Ma tanta libertà può dare alla testa, per cui tornò, apparentemente senza ragione, la voglia di interessarmi ad altro, al lavoro remunerativo quotidiano, all‘applicazione nello studio in corsi di aggiornamento professionale. È stato un ritorno agli orizzonti ristretti, che per quattro anni mi ha fatto dipingere poco. Finito quest'ultimo periodo, qualcuno chiese un altro falso d'autore, il S. Michele e il drago di Giotto. Lo riprodussi quasi controvoglia, in fondo non mi ritengo un copista vero e proprio, e poi ritenevo finito per sempre il periodo delle copie. Però mi è servito a riprendere confidenza con i pennelli, oltre che a fornirmi lo spunto per un'altra serie di quadri, quella del S. Michele bambino. Adesso sento che l’ora delle incertezze e delle titubanze se ne sta andando insieme alla mia giovinezza, per lasciare il posto, anche in arte, alle sicurezze della maturità. Ho ripreso i pennelli per non smettere più, se Dio (e io...) vuole".

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